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ATELIER
di Matilde Sartorari
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A partire dalla fine degli anni Quaranta la Sartorari awia un’intensa attività espositiva scandita dalle numerose personali e dalla partecipazione a rassegne in varie città d’Italia.Dal 26 giugno alla fine di luglio del 1949 figura alla quarantanovesima esposizione, a cura della Società di Belle Arti tenutasi presso il Palazzo della Gran Guardia a Verona. La mostra non riunisce presenze eclatanti, confermando come la scuola locale da tempo si ripieghi verso un generico naturalismo che poco concede a ricerche d’avanguardia. Nella selezione la giuria, presieduta da Pio Semeghini, risulta alquanto severa accogliendo solo centocinquanta opere su cinquecentonovantasei sottoposte ad esame. Si annoverano presenze prestigiose, in molti casi male rapppresentate, come Carlo Carrà, Angelo Del Ben, Fiorenzo Tomea, Virgilio Guidi e Umberto LilIoni. Orazio Pigato, interprete di una pittura diafana e rarefatta, resta fedele a un linguaggio povero di scatto istintivo e di segno nervoso, I due lavori della Sartorari, Un ritratto di vecchia e Studio di luci, quest’ultimo definito da Leonardo Borgese sul “Corriere della Sera” del 3 luglio “ottocentesco” nell’atmosfera e nella struttura compositiva, riscuotono consensi per l’armonia coloristica e l’eleganza di tocco.Settantuno sono i lavori che l’artista riunisce in una mostra personale aperta dal 1° al 14 febbraio 1950 alla Galleria Cairola a Milano, scelti nell’ampio repertorio che comprende sia i primi saggi del 1917, tra cui alcune vedute e Mercato dei carri a Firenze, sia le recenti composizioni floreali, quali Tulipani, Rose e Dopo la fioritura. Giuseppe Silvestri nel breve intervento che correda il pieghevole pubblicato per l’occasione rileva lo stile brioso della pittrice, alimentato da “quel senso di gioia libera che si riflette dalle pennellate sicure, dalla delicata armonia dei rapporti, dalla giustezza dei toni”. Liniziativa ha avuto il merito di aver riacceso l’interesse verso l’artista, come confermano gli unanimi consensi rivolti da vari critici attraverso testate milanesi e nazionali.Segue dal 18 aprile dello stesso anno una seconda personale, allestita presso la Nuova Galleria Genova nel capoluogo ligure. Analogamemte al precedente appuntamento espositivo viene proposta una panoramica che coinvolge l’intero percorso creativo. Gli studi di figura dedicati a personaggi femminili suscitano particolare interesse per la corposità della materia e per la solida impostazione.In occasione della mostra che le viene dedicata in giugno a Torino presso la Galleria La Nuova Bussola nell’intervento uscito il 15 giugno su “Il Popolo Nuovo” Luigi Carluccio rileva come la Sartorari, sulle giovanili reminiscenze macchiaiole abbia innestato elementi nuovi seppure connaturati al suo linguaggio. Non ha pertanto abbandonato una delle sue più spiccate caratteristiche, ossia la capacità di interpretare fedelmente il dato fenomenico con una limpidezza ed una precisione invidiabili, discriminando con assoluta semplicità le cose che debbono restare figurate da quelle che sono superflue”. La recensione anonima uscita lo stesso 15 giugno su “L’Unità” offre una descrizione minuziosa delle opere esposte, guidando l’attenzione dell’ideale visitatore sulle doti coloristiche della pittrice e sull’affiorare nel suo lessico di suggestioni derivate dai prolungati soggiorni in Europa e a Parigi in particolare. “I primi dipinti come ‘La donna che riposa’, il ‘Paesaggio’ del 1917, il ‘Giubbetto rosso’ del 1919 si presentano subito ricchi di un intuito che mira a cogliere il nucleo emotivo del colore. La macchia imparata dai toscani sempre sì posa in questi piccoh bozzetti con giusta valutazione di tono (...). Tra le opere più recenti sono da notare i due disegni colorati di ‘Square Montholon’ deI 1937, di ispirazione impressionista. Poi il linguaggio della pittrice va via via semplificandosi accettando anche insegnamenti più recenti di paesisti francesi. ‘Lungo L‘Adige’ del 1950 è di colore fermo e disteso, un cielo di piombo getta in avanti un primo piano di case e un albero, la macchia fluida e imprecisa si è fatta ormai disegno e colore”. La Galleria La Nuova Bussola, diretta tra il 1947 e il 1955 proprio da Carluccio, critico d’arte de “Il Popolo Nuovo” e dal 1953 della “Gazzetta del Popolo”, contribuisce negli anni immediatamente seguenti alla seconda guerra mondiale a dare nuovo impulso a un programma di divulgazione delle nuove tematiche legate alle avanguardie. Dopo la distruzione nel 1942 della sede ottocentesca della Galleria d’Arte Moderna, con la conseguente perdita dello spazio preposto all’opera sistematica di informazione sulle novità artistiche più recenti, tale compito viene svolto da alcune gallerie private affiancate da esponenti della critica militante. Il contesto torinese, uscito dal conflitto profondamente segnato dal dibattito tra astrattismo e realismo, risulta ora animato da tendenze francesizzanti peraltro connaturate alla vita culturale della città, come testimonia la diffusione dei modelli dell’Ecole de Paris e la qualità di alcune acquisizioni da parte della collezione civica nei primi anni Cinquanta, orientate sui lavori di maestri quali Maurice Utrillo, Auguste Renoir e Marc Chagall. Se la componente impressionista nell’opera della Sartorari può aver offerto l’occasione per una nuova riflessione sulle influenze esercitate in ambito italiano dall’importante movimento d’oltralpe, non è escluso che per la realizzazione della mostra sia intervenuto Carlo Levi, a cui la pittrice è legata da un rapporto di conoscenza e frequentazione. Levi riveste un ruolo di prestigio nel capoluogo piemontese nominato tra i membri della commissione per le arti figurative nell’ambito dell’Unione Culturale fondata nel giugno del 1945 di cui Francesco Menzio è stato il primo presidente. Il gusto della Sartorari per i ritratti permane ancora negli anni Quaranta, sebbene destinato a scomparire in futuro quasi del tutto. Già nel decennio successivo il tema cede ampiamente al paesaggio, che da allora diviene un tema privilegiato. Nella residenza a San Ciriaco di Negrar l’artista trascorre le estati da giugno a settembre, in profonda solitudine fatta eccezione per gli sporadici incontri con Pigato, Farina, Carlo Francesco Piccoli con i quali tuttavia non instaura dibattiti e confronti di un certo rilievo.Il genere della natura morta è ora destinato a rappresentare una componente significativa della sua produzione. Il soggetto, come in altri casi, si presta a svariate soluzioni stilistiche che, nell’uso di spessori e densità sempre diversi, denotano il gusto di concepire la resa pittorica in relazione alla complessità della struttura compositiva.Sempre nel 1950 la Sartorari partecipa al Premio Bolzano indetto nella stessa città presso una sala dell’Hotel Roma dove vengono ospitate centosettanta opere di settanta pittrici. Figura in seguito all’Esposizione Quadriennale d’Arte Nazionale inaugurata nel maggio del 1951 a Torino nel Palazzo della Promotrice presso il Parco del Valentino. Lappuntamento non si presenta di rilevante interesse, anzi è definito privo di “tesi o programmi scoperti, quasi senza preferenze”. Come si evince da una lettera inviata alla pittrice l’11 luglio, la Segreteria del Premio Bolzano, cui nel frattempo ella ha preso parte, ha accettato da parte della Pinacoteca l’offerta di lire 45000 per l’acquisto del dipinto Pratoline destinato alla collezione civica della città. Tra agosto e settembre l’artista tiene una personale a Busseto in occasione della celebrazione del cinquantenario dalla morte di Giuseppe Verdi. A conferma dell’interesse suscitato all’estero dalla sua opera, una veduta del Ponte Pietra a Verona, in cui le vestigia romane appaiono ancora diroccate dopo il crollo parziale provocato dai bombardamenti, viene riprodotta sulla copertina della rivista francese “La Revue Moderne” uscita il 1° settembre 1951, la stessa dove il 1° gennaio 1953 sarà pubblicato un breve articola monografico corredato dail’illustraz
   
© ATELIER di Matilde Sartorari
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